L’adozione di persone di maggiore età. L’illegitimità costituzionale dell’art.291 del codice civile nella parte in cui non consente al Giudice di ridurre -nei casi di esigua differenza e se sussistono motivi meritevoli- l’intervallo di età di 18 anni tra adottante ed adottando (Corte Costituzionale sentenza N. 5 del 18/24 gennaio 2024).
L’adozione di persone di maggiore età trova la sua disciplina negli articoli 291 e seguenti del codice civile ed è consentita in presenza delle seguenti condizioni:
- l’adottante deve aver conpiuto 35 anni di età (30 anni quando circostanze eccezionali lo consigliano):
- tra l’adottante e l’adottando deve esserci una differenza di almeno 18 anni;
- sia l’adottante sia l’adottando devono esprimere il loro consenso.
Il procedimento si propone con ricorso al Tribunale del luogo di residenza dell’adottante. All’udienza -fissata per verificare la sussistenza delle condizioni per la pronuncia dell’adozione del maggiorenne- devono partecipare sia l’adottante sia l’adottando, al fine di esprimere il proprio consenso.
E’ anche richiesto l’assenso: dei genitori dell’adottando (se esistenti), del coniuge dell’adottando e dell’adottante (se coniugati e non legalmente separati), nonché degli eventuali figli maggiorenni dell’adottante.
Il Tribunale, dopo aver assunto le prescritte informazioni tramite il Commissariato competente e, dopo aver verificato la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge e acquisiti i consensi e gli assensi di cui sopra, pronuncia con sentenza l’adozione del maggiorenne, previa valutazione della convenienza per l’adottando.
Laddove dovesse essere negato l’assenso dei genitori dell’adottando o del coniuge dell’adottante e dell’adottando, il Tribunale -su istanza dell’adottante- ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, può comunque pronunciare l’adozione, salvo che si tratti dell’assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del coniuge convivente dell’adottante o dell’adottando. Il Tribunale può -altresì- pronunciare l’adozione in caso di impossiblità ad ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.
La differenza di età (18 anni) tra adottante ed adottato è stata prevista al fine di assimilare, per quanto possibile, l’adozione alla filiazione biologica e ciò in quanto originariamente l’istituto veniva utilizzato prevalentemente da chi, in mancanza di discendenti, desiderava trasferire il proprio cognome e patrimonio all’adottato.
Con il tempo, l’istituto ha perso la funzione tradizionale ed è diventato uno strumento volto a suggellare “legami affettivo-solidaristici” consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico: si pensi ad esempio ad un coniuge che decida di adottare il figlio dell’altro coniuge (che magari non era stato riconosciuto dall’altro genitore o lo ha perso) oppure ad una coppia di coniugi che, all’esito di un percorso di affido, decida di adottare la persona di cui si è presa cura che, nel frattempo, è diventata maggiorenne e che magari non ha piu’ alcun legame con la propria famiglia di origine. Alla luce di questa nuova visione dell’istituto, la Cassazione ha stabilito che il giudice -nell’applicare la norma che prevede la differenza minima d’età tra l’adottante e l’adottato- deve procedere ad “un’interpretazione costituzionalmente compatibile della norma di legge, che consenta una ragionevole riduzione del predetto divario di età, al fine di tutelare le situazioni familiari già consolidate”.
La questione è stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale la quale, con sentenza N. 5 del 18.1.2024 pubblicata il 24.1.2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 primo comma del codice civile nella parte in cui, per l’adozione di maggiorenni, non consente al giudice di ridurre l’intervallo minimo di età di diciotto anni fra adottante e adottando nei casi di esiguo scostamento e sempre che sussistano motivi meritevoli. L’accertamento è rimesso al giudice il quale, caso per caso e nel bilanciamento degli interessi coinvolti, deve valutare se esistano motivi meritevoli che consentano di derogare alla previsione del codice civile sempre che la riduzione di quel divario risulti esigua; in ogni caso, l’intervallo ordinario di diciotto anni continua a valere quale regola generale che richiama la necessità di conservare una ragionevole limitazione del divario esistente in natura tra genitore e figlio, regola che può essere derogata a discrezione del Tribunale solo entro i limiti indicati.