Si ritiene interessante sottoporre all’attenzione, la Sentenza della Corte di Cassazione del 07.11.2017, depositata il 11.10.2018 n. 25328/18 nella quale, a fronte di una controversia concernente
la sanzione pecuniaria di 21.977,00 euro irrogata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al ricorrente, per essere stato trovato in possesso, mentre entrava in territorio italiano provenendo dalla Svizzera, di danaro, titoli e valori non dichiarati.
In particolare, era stato contestato il possesso di 10 certificati azionari al portatore della società Performance Development Partners di Ginevra per un valore nominale di circa 83mila euro e di una somma in contanti di 238.640,00 euro.
Il Tribunale di Como, con Sentenza n. 1642/2014 rigettava l’opposizione proposta dall’incolpato.
La Corte di Appello di Milano, rilevava la assenza di adeguata motivazione della prima decisione, ma con sentenza 19 febbraio 2015 rigettava il gravame interposto dall’opponente.
Questi ha proposto ricorso il 5 giugno 2015 svolgendo quattro motivi.
Il Ministero, difeso dall’avvocatura dello Stato, ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 195/2008, adducendo che il provvedimento era stato emesso tardivamente, cioè oltre il termine di 180 giorni previsto dal terzo comma dell’art. 8, pur se aumentato di ulteriori sessanta giorni, ex comma 4, a causa della richiesta di audizione formulata dall’interessato.
Deduce che il provvedimento è stato adottato il 17 maggio 2013, quando il termine era spirato, perché il Ministero aveva avuto “integrale e completa conoscenza” dell’atto presupposto, cioè del verbale dell’Ufficio Dogane, il 16 luglio 2012, data in cui era pervenuto al Ministero copia del processo verbale inviata allo stesso ricorrente in allegato alla richiesta di audizione.
La Corte di Appello ha respinto la tesi della equipollenza tra conoscenza del verbale da parte del Ministero tramite via amministrativa interna o tramite ricezione proveniente dall’interessato.
Ha osservato che il verbale era stato formalmente ricevuto dal Ministero il 19 ottobre 2012, a nulla rilevando gli iscritti difensivi prodotti dalla parte.
La Sentenza impugnata merita conferma.
Il vecchio testo dell’art 8 del d.lgs. 195/2008 prevedeva che : Chi non si avvale della facoltà prevista dall’articolo 7 può presentare scritti difensivi e documenti al Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché chiedere di essere sentito dalla stessa Amministrazione, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione dell’atto di contestazione.
Il Ministero dell’Economia e Finanze, udito il parere della commissione di cui all’articolo 1 del decreto del presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 114, determina con decreto motivato la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento.
Il decreto di cui al comma 2 è adottato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nel termine perentorio di centottanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 1.>>
La norma di cui al comma terzo è stata modificata nel 2012 (legge n. 46), divenendo la seguente: Il decreto di cui al comma 2 è adottato dal Ministero dell’Economia e Finanze nel termine perentorio di centottanta giorni dalla data in cui riceve i verbali di contestazione.
In tal modo è stato reciso ogni ambiguo collegamento tra il termine per l’adozione del provvedimento sanzionatorio e l’iniziativa difensiva del trasgressore, prevista al primo comma. Punto di riferimento per l’adozione del provvedimento è la ricezione del verbale da parte del Ministero.
La norma fa in tal modo riferimento all’obbligo di trasmissione del verbale di contestazione che incombe sull’autorità che ha provveduto alla constatazione della violazione. L’art. 4 comma 6 prevede infatti: I verbali di contestazione sono conservati in forma nominativa per la durata di dieci anni e sono trasmessi al Ministero dell’Economia e Finanze, tramite supporti informatici, entro sette giorni dalla data di contestazione ai fini del procedimento sanzionatorio di cui al presente decreto.
È evidente, dunque, che il termine perentorio per l’adozione del provvedimento decorre soltanto dalla data in cui è avvenuta la rituale trasmissione prevista (con termine ordinatorio) dalla disposizione citata. A nulla rileva quindi la conoscenza della contestazione avvenuta aliunde.
Né potrebbe essere diversamente, giacché, in presenza di un termine perentorio, il dato di decorrenza dell’attività sanzionatoria deve essere necessariamente agganciato a un momento procedimentale certo e interno all’Amministrazione.
Quest’ultima deve infatti poter organizzare il servizio relativo alle sanzioni da irrogare in termini brevi sulla base del prevedibile contenuto degli atti che riceve da fonte qualificata e secondo un canale all’uopo specificamente previsto.
Se così non fosse, l’Amministrazione finanziaria sarebbe costretta a uno scrutinio occhiuto e minuzioso di ogni atto e relativi allegati (come nella specie) proveniente dai privati, per scoprire l’eventuale presenza in esso di erbali di contestazione di violazioni valutarie da sanzionare: il che, oltre che contrario alla sopraindicata interpretazione letterale del testo normativo, sarebbe palesemente illogico e contrastante con ogni canone di buon andamento dei servizi amministrativi.
Restano perciò prive di peso le ardite comparazioni, prospettare in ricorso, con la materia disciplinare, segnata da peculiarità non esportabili alla materia speciale qui esaminata.
La censura va quindi respinta.
Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione in relazione all’omesso esame del fatto decisivo, esposto in appello, relativo alla assenza di valore legale dei certificati azionari detenuti dal ricorrente, che non attribuivano al portatore alcun diritto di proprietà nella società.
In proposito il ricorso torna a esporre la tesi della peculiarità della normativa Svizzera e la conseguente assenza del carattere di titoli al portatore dei documenti, sostituiti da altri titoli nominativi a seguito delle vicende societarie descritte in ricorso e nei precedenti scritti difensivi.
Sul punto, la sentenza si è limitata a riferire che l’annullamento dei titoli provato dal ricorrente si riferirebbe a titoli diversi da quelli oggetto di contestazione indicati nel verbale.
Il rilievo è contestato dal ricorso, che fa presente che i titoli indicati nel verbale sono i medesimi e sono quelli per qui è stato eseguito il sequestro, che escluse dal sequestro sette dei dieci certificati azionari.
La Corte di Appello, al di là dell’incerta identificazione dei titoli oggetto del provvedimento, che dovrà essere riesaminata poiché i tre titoli sequestrati fanno parte dei dieci trasportati dalla parte, secondo il verbale di accertamento (illustrato con precisione a pag. 19 del ricorso e sommariamente in Sentenza), non si è infatti preoccupata della tesi relativa al completo annullamento di tutti i dieci titoli, ritenendolo avvenuto solo per alcuni di essi non oggetto di sanzione.
Il sommario esame condotto dalla Corte di Appello non ha colto che il provvedimento cautelare non era dipeso dalla diversa natura attribuita ai titoli, su cui non v’è cenno nel provvedimento riportato nei passi salienti in ricorso, ma ai limiti di sequestrabilità di cui all’art. 3 del decreto legislativo indicato in ricorso.
In sostanza, se i titoli erano stati annullati, come la stessa Corte ammette, essi non avevano valore ai fini della violazione valutaria, l’annullamento doveva essere verificato in relazione a tutti, e il sequestro era possibile solo su percentuale dei titoli validi e non di tutti. La circostanza che alcuni fossero stati sequestrati e altri non lo fossero non era infatti motivata – nel provvedimento amministrativo impugnato – dal dedotto annullamento del valore dei titoli.
Si è avuto quindi un completo omesso esame della censura in relazione ai titoli sequestrati, perché la decisione è stata veicolata su un presupposto (l’annullamento di alcuni titoli e non di altri) non posto a base del provvedimento. È rimasta priva di esame la questione dell’integrale annullamento di tutti i titoli, su cui pertanto la Corte doveva pronunciarsi consapevolmente.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 9 d.lgs. 195/08, in relazione alla determinazione della sanzione, che secondo tale norma deve essere correlata al valore dei titoli.
Parte ricorrente assume che nella specie il valore dei titoli era pari a zero, perché la società aveva patrimonio netto negativo, come da bilancio certificato a suo tempo prodotto.
Invoca pertanto Cass. 19020/09, a mente della quale << In tema di infrazioni valutarie, ai fini della quantificazione della sanzione per la violazione degli obblighi previsti dall’art. 3 D.L., 28 giugno 1990, n. 167, convertito nella legge 4 agosto 1990, n.227, in relazione all’importazione o esportazione di titoli e valori mobiliari, l’Amministrazione deve tener conto del valore reale e non del valore nominale del titolo>>.
Anche questo motivo è fondato.
La Corte di Appello ha apoditticamente affermato che la sanzione è stata <<correttamente rapportata al valore nominale dei titoli>>. In tal modo è andata in contrasto con il principio soprariportato, che va invece confermato.
Il Giudice di rinvio, al quale la causa va rimessa, oltre ad accertare quanto rimessogli in relazione al secondo motivo, circa l’annullamento di tutti i certificati azionari, dovrà verificare se sia vero che all’epoca, secondo il diritto applicabile, le quote societarie non avessero valore reale e fossero quindi – o meno – assoggettabili a sanzione in caso di occulto trasferimento transfrontaliero.
Resta assorbito l’esame del quarto motivo, relativo alla misura del regolamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso.
Accoglie il secondo e il terzo motivo; dichiara assorbito il quarto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della 2 ^ sezione civile, tenuta il 7 novembre 2017.